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L'ABBRACCIO DELLA VALSESIA AL PRESIDENTE SERGIO MATTARELLA - "Più della servitù temo la libertà recata in dono" - Omaggio al tributo di sangue pagato in Valle per la libertà, la democrazia, la pace - GALLERY E FILMATO CON IL DISCORSO INTEGRALE

25 aprile 2016, 71° Anniversario della Liberazione

( guido gabotto ) - Discorso concepito per unire, non certo per dividere gli animi, le menti e soprattutto i cuori, quello del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, stamane al Teatro Civico di Varallo.

La scelta di tenere in Valsesia le celebrazioni nazionali di questo 71° anniversario della Liberazione testimonia, nel modo più eloquente ed alto, il riconoscimento di tutto il Paese per il contributo di sangue versato in Valle: 3 mila furono i partigiani valsesiani che contarono nelle loro fila più di 500 morti.


Integrale in video il discorso del Capo dello Stato

http://www.vercellioggi.it/dett_video_notizie.asp?id=2555


Una contabilità algida quanto tragica, tuttavia forse bisognosa di una “contestualizzazione” nel clima di quei giorni dal 9 settembre 1943 fino, appunto al 25 aprile di due anni più tardi.

Quando il Paese disorientato non meno delle proprie Forze Armate, dopo la sostanziale remissione sabauda, conosceva, insieme al desiderio di pace, smarrimento e terrore.

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La Valsesia risponde a questa scelta in un modo chiaro ed inequivico: un grande abbraccio, caloroso e rispettoso, gioioso e tuttavia capace di trasmettere all’illustra Ospite l’idea di un “grazie” sincero e cordiale per questo grande onore.

Perché di questo si tratta e conviene che sia detto senza perifrasi né timidezze né il timore di apparire   – chissà eventualmente perché –immemori delle tante difficoltà che in questi tempi il popolo conosce.

Molti si sono in queste settimane cimentati con la rarefatta aneddotica elaborata sui precedenti delle visite presidenziali: Giovanni Leone nel 1974, l’ultimo in Valle; Carlo Azeglio Ciampi l’ultimo in provincia di Vercelli nel 2005.

Ma il punto non è questo o, forse, non è solo questo: ciò che rende in qualche modo unica questa visita è proprio la coincidenza dell’arrivo della più alta carica dello Stato con la celebrazione di un anniversario il cui valore si radica nel dolore, nella dimensione redentrice del dolore, fino a che dalla sofferenza nasca – secondo l’idea di San Paolo – quella esperienza che rende la virtù “provata”, quindi capace responsabilmente di una speranza che non deluda.

 

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Tanti sono i momenti di questa giornata che potranno diventare patrimonio comune.

 

Ci piace dire che i nostri Lettori potranno riguardarne qualche significativo scampolo con la gallery fotografica che sta al termine di questo articolo.

Soprattutto, potranno riascoltare l’integrale della prolusione presidenziale, che abbiamo registrato in audio video:


http://www.vercellioggi.it/dett_video_notizie.asp?id=2555  .


Sicchè chiunque potrà rivedere questo abbraccio: le mani che cercano quelle di Sergio Mattarella, questi che si ferma a chiacchierare per i brevi momenti consentiti dal Servizio d’ordine e dal Protocollo, con i bambini.

 

Che non si sono annoiati ad ascoltarlo: e non è una notazione di circostanza.

 

Anche se il discorso che ha tenuto può essere a qualcuno apparso di non facilissima lettura, denso come è stato di allusioni solo in parte immediatamente intelligibili, quindi ci pare ancor più utile l’opportunità di riascoltarlo in repertorio.

 

Un discorso che – ne anticipiamo quella che a noi è sembrata essere la struttura – è parso snodarsi all’interno di un sistema di valori tracciato come su un ideale quadrilatero.

 

Quattro sono state le citazioni capaci di trovare la sintonia con altrettante istanze di questo momento storico, senza tuttavia smarrire una direzione di marcia che arrivi da “lontano” e traguardi un orizzonte più ambizioso di quanto non vorrebbero circoscrivere miserandi propositi di disgregazione.

 

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Le quattro citazioni sono tutte di segno laico.

 

Nell’accezione più nobile e storicamente provata – messa alla prova della Storia – della parola.

 

Sicchè può forse meravigliare chi non conosca la fede adulta, il fatto che un credente coerente non dispensi riferimenti di taglio confessionale, bastando invece la testimonianza della propria vita e di quella della propria famiglia per conferire credibilità ad una identità che vuole porsi in dialogo.

 

Dunque le citazioni.

 

Tutte capaci di richiamare alla mente personaggi dimenticati – e si vede così spesso con quali esiti – dai più, così come dalla politica, non meno che dalla filosofia politica e quindi figuriamoci dalla politologia di modesto momento dei talk show.

 

Un pensiero – insistito e duplice – a Giuseppe Mazzini.

 

Quello “straniero in Patria” che pure fu precursore dell’idea di “patto nazionale” mai compiutamente indagata, forse perché fraintesa, malintesa, identificata con una rinuncia ad una identità più spesso idolatrata che studiata e coltivata nel corso degli ultimi due secoli. Ed infine snaturata nella visione di federalismi caricaturali conformati (deformati) non solo sulla discrimante geografica, ma anche su quella che corre lungo la divisione tra società integrata e società marginale.

 

Insistito – dicevamo – il riferimento al Dottor Brown, il cui nome riecheggia nuovamente al Civico di Varallo quando – è  cambiato lo scenario lungo il quale si snoda la relazione – si ricorda il saldo radicamento della Resistenza nel sentire comune del popolo italiano.

 

La domanda è retorica: se non ci fosse stato l’aiuto degli Alleati, da solo il popolo italiano sarebbe stato capace di rialzarsi con le proprie forze?

 

E mentre il sacrificio di tante vite, da Sant’Anna di Stazzena a Boves, delle Fosse Ardeatine a Quarona, sta ancora oggi a sussurrare con dolce fermezza una risposta affermativamente chiara, ecco tornare attuale il magistero mazziniano sulla “identità” del riscatto:”Più della servitù, temo la libertà recata in dono”.

 

La Resistenza, quindi, è sempre, anche oggi.

L’applauso a scena aperta che segue rincuora un po’ chi forse si stava rassegnando a vedere caduto nell’oblio l’uomo della “religione civile”.

 

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Ma abbiamo detto di quattro citazioni che ci sono parse indicare la rotta e quelle appena tratteggiate sono due.


Ora le altre.


Disseminate in altrettanti passaggi del discorso presidenziale, come ad aprire e chiudere – la prima – una parentesi storiografica, mentre la seconda suggerisce una chiave interpretativa assai chiara circa la attualità della Resistenza.

 

Dunque si sta riguardando il periodo che idealmente unisce i giorni carichi di futuro della Liberazione, il 25 aprile, con il punto di approdo ed insieme di partenza di quella nuovamente sperimentata condizione di convivenza civile: la cittadinanza sociale che ha per protagonista il cittadino, riscattato dalla condizione di suddito.

 

E’ l’intuizione del grande giurista Vincenzo Arangio Ruiz a farsi persuasiva, offrendo una prospettiva riformatrice ed insieme capace di non suscitare ulteriori conflitti nel popolo appena uscito dalla guerra.

Il cultore di Diritto Romano è capace in quegli anni – ma è meglio dire in quei giorni – di rappresentare efficacemente l’idea di una inadeguatezza dell’ordinamento monarchico, non meno che della Casa Regnante per guidare il Paese assicurandone l’unità nazionale nella nuova fase storica.


Il  potere sia rappresentativo del popolo, dal popolo conferito ed al popolo deve tornare per essere nuovamente e democraticamente assegnato.

 

Anche Arangio Ruiz è oggi dai più dimenticato  e forse l’odierno insegnamento del Presidente incoraggerà i molti protagonisti della vita politica che oggi lo hanno applaudito a fare tesoro di qualcuna almeno di queste indicazioni.

 

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L’ultima – la quarta – di quelle che abbiamo creduto di rilevare noi, non poteva che essere rivolta a richiamare, nell’insegnamento di Pietro Calamandrei, la modalità forse più persuasiva nel cercare la radice della libertà offerta oggi a noi come dono.

 

Dono dei nostri progenitori.

 

Dono, si diceva in esergo, radicato nel dolore.

 

Dono che illustra il valore redentivo del dolore.

 

Dolore di molti che hanno sacrificato la vita, di altri che hanno offerto in olocausto gli affetti familiari.

 

Ed è proprio lì – dice Mattarella richiamando il fondatore del Partito d’Azione – che dobbiamo cercare quando vogliamo capire, vogliamo sapere, vogliamo vedere, dove abbia origine la nostra libertà: lì dove sono morti i nostri giovani che hanno dato la vita per permettere a noi di vivere questi 71 anni nella libertà, nella democrazia e – oggi conviene come forse mai in questi decenni non dimenticarlo – nella pace.

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Un credente coerente offre il pensiero di tre laici  a noi, che così spesso non riusciamo a rinvenire, in questo momento storico così promettente ed insieme così insidioso, che le ragioni del dialogo hanno nella identità radicata e forte (se e quando c’è) di ciascuno, il presupposto imprescindibile e non già un limite invalicabile.