( guido gabotto ) - Discorso
concepito per unire, non certo per dividere gli animi, le menti e soprattutto i cuori, quello del Presidente della
Repubblica Sergio
Mattarella, stamane al Teatro Civico di Varallo.
La
scelta di tenere in Valsesia le celebrazioni nazionali di questo 71°
anniversario della Liberazione testimonia, nel modo più eloquente ed alto, il
riconoscimento di tutto il Paese per il contributo di sangue versato in Valle: 3 mila furono i
partigiani valsesiani che contarono nelle loro fila più di 500 morti.
Integrale in video il discorso del Capo dello Stato
http://www.vercellioggi.it/dett_video_notizie.asp?id=2555
Una
contabilità algida quanto tragica, tuttavia forse bisognosa di una “contestualizzazione”
nel clima di quei giorni dal 9 settembre 1943 fino, appunto al 25 aprile di due
anni più tardi.
Quando
il Paese disorientato non meno delle proprie Forze Armate, dopo la sostanziale
remissione sabauda, conosceva, insieme al desiderio di pace, smarrimento e
terrore.
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La
Valsesia risponde a questa scelta in un modo chiaro ed inequivico: un grande
abbraccio, caloroso e rispettoso, gioioso e tuttavia capace di
trasmettere all’illustra Ospite l’idea di un “grazie” sincero e cordiale per
questo grande onore.
Perché
di questo si tratta e conviene che sia detto senza perifrasi né timidezze né il
timore di apparire – chissà eventualmente
perché –immemori delle tante difficoltà che in questi tempi il popolo conosce.
Molti
si sono in queste settimane cimentati con la rarefatta aneddotica elaborata sui
precedenti delle visite presidenziali: Giovanni Leone nel 1974, l’ultimo in Valle; Carlo Azeglio
Ciampi l’ultimo in provincia di Vercelli nel 2005.
Ma
il punto non è questo o, forse, non è solo questo: ciò che rende in qualche modo unica questa
visita è proprio la coincidenza dell’arrivo della più alta carica
dello Stato con la celebrazione di un anniversario il cui valore si radica nel
dolore, nella dimensione redentrice del dolore, fino a che dalla sofferenza
nasca – secondo l’idea di San Paolo – quella esperienza che rende la
virtù “provata”, quindi capace responsabilmente di una speranza che non deluda.
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Tanti
sono i momenti di questa giornata che potranno diventare patrimonio comune.
Ci
piace dire che i
nostri Lettori potranno riguardarne qualche significativo scampolo
con la gallery
fotografica che sta al termine di questo articolo.
Soprattutto,
potranno
riascoltare l’integrale della prolusione presidenziale, che abbiamo registrato in audio
video:
http://www.vercellioggi.it/dett_video_notizie.asp?id=2555 .
Sicchè
chiunque potrà rivedere questo abbraccio: le mani che cercano quelle di Sergio
Mattarella, questi che si ferma a chiacchierare per i brevi momenti consentiti
dal Servizio d’ordine e dal Protocollo, con i bambini.
Che
non si sono annoiati ad ascoltarlo: e non è una notazione di circostanza.
Anche se
il discorso che ha tenuto può essere a qualcuno apparso di non facilissima lettura,
denso come è stato di allusioni solo in parte immediatamente intelligibili,
quindi ci pare ancor
più utile l’opportunità di riascoltarlo in repertorio.
Un discorso
che –
ne anticipiamo quella che a noi è sembrata essere la struttura – è parso
snodarsi all’interno di un sistema di valori tracciato come su un ideale
quadrilatero.
Quattro
sono state le citazioni capaci di trovare la sintonia con altrettante istanze
di questo momento storico, senza tuttavia smarrire una direzione di marcia che
arrivi da “lontano” e traguardi un orizzonte più ambizioso di quanto non
vorrebbero circoscrivere miserandi propositi di disgregazione.
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Le
quattro citazioni sono tutte di segno laico.
Nell’accezione
più nobile e storicamente provata – messa alla prova della Storia – della parola.
Sicchè
può forse meravigliare chi non conosca la fede adulta, il fatto che un credente
coerente non dispensi riferimenti di taglio confessionale, bastando invece la
testimonianza della propria vita e di quella della propria famiglia per conferire
credibilità ad una identità che vuole porsi in dialogo.
Dunque
le citazioni.
Tutte
capaci di richiamare alla mente personaggi dimenticati – e si vede così spesso
con quali esiti – dai più, così come dalla politica, non meno che dalla
filosofia politica e quindi figuriamoci dalla politologia di modesto momento
dei talk show.
Un
pensiero – insistito e duplice – a Giuseppe Mazzini.
Quello
“straniero in Patria” che pure fu precursore dell’idea di “patto nazionale” mai
compiutamente indagata, forse perché fraintesa, malintesa, identificata con una
rinuncia ad una identità più spesso idolatrata che studiata e coltivata nel
corso degli ultimi due secoli. Ed infine snaturata nella visione di federalismi
caricaturali conformati (deformati) non solo sulla discrimante geografica, ma
anche su quella che corre lungo la divisione tra società integrata e società
marginale.
Insistito
– dicevamo – il riferimento al Dottor Brown, il cui nome riecheggia
nuovamente al Civico di Varallo quando – è cambiato lo scenario lungo il quale si snoda
la relazione – si ricorda il saldo radicamento della Resistenza nel sentire
comune del popolo italiano.
La
domanda è retorica: se non ci fosse stato l’aiuto degli Alleati, da solo il
popolo italiano sarebbe stato capace di rialzarsi con le proprie forze?
E
mentre il sacrificio di tante vite, da Sant’Anna di Stazzena a Boves, delle
Fosse Ardeatine a Quarona, sta ancora oggi a sussurrare con dolce fermezza una
risposta affermativamente chiara, ecco tornare attuale il magistero mazziniano
sulla “identità” del riscatto:”Più della
servitù, temo la libertà recata in dono”.
La
Resistenza, quindi, è sempre, anche oggi.
L’applauso
a scena aperta che segue rincuora un po’ chi forse si stava rassegnando a
vedere caduto nell’oblio l’uomo della “religione civile”.
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Ma
abbiamo detto di quattro citazioni che ci sono parse indicare la rotta e quelle
appena tratteggiate sono due.
Ora le altre.
Disseminate
in altrettanti passaggi del discorso presidenziale, come ad aprire e chiudere –
la prima – una parentesi storiografica, mentre la seconda suggerisce una chiave
interpretativa assai chiara circa la attualità della Resistenza.
Dunque
si sta riguardando il periodo che idealmente unisce i giorni carichi di futuro
della Liberazione, il 25 aprile, con il punto di approdo ed insieme di partenza
di quella nuovamente sperimentata condizione di convivenza civile: la
cittadinanza sociale che ha per protagonista il cittadino, riscattato dalla
condizione di suddito.
E’
l’intuizione del grande giurista Vincenzo Arangio Ruiz a farsi persuasiva,
offrendo una prospettiva riformatrice ed insieme capace di non suscitare
ulteriori conflitti nel popolo appena uscito dalla guerra.
Il
cultore di Diritto Romano è capace in quegli anni – ma è meglio dire in quei
giorni – di rappresentare efficacemente l’idea di una inadeguatezza dell’ordinamento
monarchico, non meno che della Casa Regnante per guidare il Paese assicurandone
l’unità nazionale nella nuova fase storica.
Il potere sia rappresentativo del popolo, dal popolo conferito ed al popolo deve tornare per essere nuovamente e democraticamente assegnato.
Anche
Arangio Ruiz è oggi dai più dimenticato
e forse l’odierno insegnamento del Presidente incoraggerà i molti
protagonisti della vita politica che oggi lo hanno applaudito a fare tesoro di
qualcuna almeno di queste indicazioni.
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L’ultima
– la quarta – di quelle che abbiamo creduto di rilevare noi, non poteva che
essere rivolta a richiamare, nell’insegnamento di Pietro Calamandrei, la modalità
forse più persuasiva nel cercare la radice della libertà offerta oggi a noi
come dono.
Dono
dei nostri progenitori.
Dono,
si diceva in esergo, radicato nel dolore.
Dono
che illustra il valore redentivo del dolore.
Dolore
di molti che hanno sacrificato la vita, di altri che hanno offerto in olocausto
gli affetti familiari.
Ed
è proprio lì – dice Mattarella richiamando il fondatore del Partito d’Azione – che
dobbiamo cercare quando vogliamo capire, vogliamo sapere, vogliamo vedere, dove
abbia origine la nostra libertà: lì dove sono morti i nostri giovani che hanno
dato la vita per permettere a noi di vivere questi 71 anni nella libertà, nella
democrazia e – oggi conviene come forse mai in questi decenni non dimenticarlo –
nella pace.
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Un
credente coerente offre il pensiero di tre laici a noi, che così spesso non riusciamo a
rinvenire, in questo momento storico così promettente ed insieme così
insidioso, che le ragioni del dialogo hanno nella identità radicata e forte (se
e quando c’è) di ciascuno, il presupposto imprescindibile e non già un limite
invalicabile.