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TRIPPA PER I GATTI / 783 - Il Centrodestra consegna per la terza volta in 10 anni Santhià al Centrosinistra - Si vede che gli piace - Ma il problema sta nei partiti neofeudali, che vogliono i voti e non le idee degli elettori -

Per tenersi buono Daniele Baglione, la Lega si prepara a regalargli Lenta -

Se la vittoria ha cento padri e la sconfitta è orfana, questa batosta che il Centrodestra si prende a Santhià non ha, forse, nessuna madre.

Ma ha di sicuro due padri: Paolo Tiramani ed Alberto Cortopassi.

Ma andiamo con ordine.

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1. MONARCHI, FEUDI, FEUDATARI, VASSALLI, VALVASSINI, VALVASSORI

Bisogna, però, soprattutto per evitare il rischio di banalizzare, oppure di andare a rimorchio delle suggestioni del momento, partire un po’ da lontano.

Sicchè il Lettore è pregato di concedere il consueto supplemento di pazienza ed attenzione, oppure, in una alternativa forse più utile, pensare alle molte altre cose da fare durante la giornata.

Perché il “caso” Santhià è sintomatico della fase politica apertasi nel Paese, dal 1994 in poi, con l’avvento sulla scena di Forza Italia ed è appena ovvio che non si possa del tutto analizzare con qualche costrutto, se non riconducendolo a quei riferimenti e ad un contesto più ampio.

Non soltanto perché “il Mondo è tutto attaccato insieme”, come diceva qualche nostro vecchio e sapiente amico, ma perché non succede nulla di nuovo, in fondo, sotto il sole.

E qui non è soltanto un vecchio amico che parla, ma il Qoelet.

E chi per lui.

Inoltre, per chi ami approfondire ben oltre il poco che può sapere chi scrive, ecco tre letture utili.

La prima,

la seconda,

la terza.

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2. PREMESSA CHE SI PUO’ TRANQUILLAMENTE SALTARE A PIE’ PARI, SE SI VUOLE ESAMINARE LA VICENDA DI SANTHIA’, ISOLATA DAL CONTESTO POLITICO: E’ AL CAPITOLETTO   NUMERO 6 -

Dunque, riassumendo, che succede?

Succede che, dal 1994, si afferma nel Paese non soltanto una nuova forza politica, ma acquistano diritto di cittadinanza l’idea e la prassi di una inedita forma partito, che prescinde dai vincoli e dai processi della democrazia interna: il partito (pure se partito “di massa”) si “libera”, butta a mare, i percorsi democratici di selezione del personale politico.

In cosa consistessero quei percorsi non è difficile ricordarlo.

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I partiti erano strutturati come “associazioni” di persone, anche nel senso “civilistico” del termine.

Infatti: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” – Art. 49 della Costituzione.

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L’attenzione si appunta, soprattutto e non da oggi, sul significato (meglio: sui significati) che si attribuisce alla locuzione “con metodo democratico”.

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C’erano, prima di tutto, i “soci”, gli iscritti al partito.

Riuniti in Sezioni o Circoli territoriali o ambientali (qualcuno si ricorderà i “Gip” – gruppi di impegno politico – nell’ambito, ad esempio, dell’Ospedale o di grandi fabbriche).

L’assemblea degli iscritti di Sezione eleggeva il Direttivo ed il Segretario politico.

Ciò avveniva puntualmente, ad ogni scadenza: di tre, massimo quattro anni.

Quegli Organismi avrebbero poi dialogato con le altre forze politiche dei rispettivi territori, per stabilire, ad esempio, alleanze e candidati ai Consigli Comunali.

Le Sezioni territoriali, insieme, davano poi vita ai Congressi provinciali.

Dai quali usciva selezionato e, soprattutto, legittimato, il personale politico provinciale (il soggetto decisore più importante, così individuato dagli statuti nazionali), che poi avrebbe determinato le candidature ai livelli omologhi e proposto quelle regionali ed al Parlamento nazionale.

L’onere del “Provinciale” non era, peraltro, solo quello di designare i candidati alle varie tornate elettorali: era soprattutto quello di dettare e, poi, tenere monitorata la linea politica, verificandola periodicamente con gli eletti nelle Istituzioni e la “base”.

Così via, fino alla elezione dei vertici nazionali dei partiti.

Quel processo democratico assicurava una positiva e virtuosa selezione meritocratica del personale politico?

Non necessariamente, non “ontologicamente” e, comunque, non sempre.

Ma il punto non è questo.

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Con l’avvento di Forza Italia si afferma, al contrario, un’organizzazione di partito neo feudale, che ben presto fa scuola non tanto o soltanto negli statuti degli altri soggetti politici (statuti che qualche foglia di fico la conservano, a proposito di democrazia interna “dal basso”), ma, soprattutto, nel costume politico.

Ed è proprio sul piano del costume, che spesso trova spazio il malcostume politico.

Molti i fattori convergenti a determinare il nuovo orientamento, non ultimo la progressiva verticizzazione dei sistemi elettorali, sempre più orientati a promuovere l’elezione (apparentemente) diretta dei Legali Rappresentanti delle Istituzioni.

Esiziale, poi, la sostanziale privazione del potere di selezione (che prima era in mano ai cittadini – elettori ed ora è saldamente nella disponibilità dei vertici nazionali di partito) e designazione dei candidati al Parlamento.

Soprattutto, vanno ai candidati preferiti dai capi (non dagli elettori) i Collegi più sicuri e promettenti.

Il Parlamentare diventa tale perché conquista non già la “preferenza” del cittadino elettore, ma quella dei capi partito.

In tal modo, i vertici nazionali dei partiti sono gli unici a promuovere al Parlamento un’aspirante, piuttosto di un altro.

Il sistema si è involuto: non più la promozione dal basso, ma la cooptazione dall’alto dei rappresentanti del popolo.

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Non ha mai perso significato l’avvertimento di Aldo Moro, che ammoniva lucidamente sui rischi di una eccessiva semplificazione dei processi di democrazia interna dei partiti: le regole con le quali selezioniamo i nostri Dirigenti, fatalmente si trasferiranno nei sistemi elettorali che saranno la “griglia” deputata a filtrare i percorsi della democrazia nel Paese.

Prediche – avrebbe detto Luigi Einaudi, nel 1955 – inutili.

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Perché appuntare l’attenzione proprio o prevalentemente su Forza Italia?

Perché è la prima forza politica che ha potuto esprimere Parlamentari e rappresentanti del popolo ai vari livelli nella guida delle Istituzioni, a non avere mai celebrato, dal 1994 ad oggi, un Congresso Nazionale per eleggere i propri dirigenti.

Anche ai livelli locali le esperienze congressuali sono state a macchia di leopardo albino, rare, diafane, inconcludenti.

In provincia di Vercelli, l’ultima di cui vi sia memoria (che, forse, par di ricordare, fu anche la prima) risale al 2012, quando furono eletti Coordinatore e Vice Coordinatore provinciali,

Davide Gilardino e Lillo Bongiovanni.