Due studi
firmati da ricercatori dell’Università del Piemonte Orientale sono stati selezionati
per essere posti all’attenzione di esperti di settore e dei media
internazionali durante e-ECE 2020, l’evento che dal 5 al 9 settembre mette in
rete i massimi studiosi nel campo dell’endocrinologia (European Congress of
Endocrinology). Entrambi
gli studi, focalizzati rispettivamente su microbiota e aging, sono frutto
dell’esperienza dei Dipartimenti di Eccellenza UPO di area medica, il DIMET
(Dipartimento di Medicina traslazionale) e il DISS (Dipartimento di Scienze della
salute).
Il
primo studio, condotto da un team dell’UPO coordinato da Flavia Prodam, professore
associato di Scienze tecniche dietetiche applicate del DISS, e in
collaborazione con l’Università di Bologna, l’Università di Verona e
Probiotical, si è concentrato sulla tematica “microbiota e cibo”.
Il
team ha dimostrato come i bambini affetti da obesità, sottoposti a terapia
dietetica e all’assunzione dei probiotici Bifidobacterium breve BR03 e
Bifidobacterium breve B632, abbiano perso più peso e, soprattutto, abbiano
migliorato il grado di sensibilità all'insulina rispetto ai bambini trattati unicamente
con la dieta. Questi
risultati suggeriscono che questi integratori probiotici, in associazione a una
dieta Mediterranea a contenuto calorico controllato, possono aiutare nella
gestione dell’obesità e delle sue complicanze nella popolazione più giovane.
Potrebbero, inoltre, aiutare nel ridurre i rischi futuri di salute, come le
malattie cardiache e il diabete mellito.
«Il trattamento e
la prevenzione dell’obesità – spiega la professoressa Flavia Prodam
– sono una
seria sfida per la salute pubblica globale, soprattutto nei bambini e negli
adolescenti. I bifidobatteri sono un gruppo di batteri che fanno parte del
microbiota naturale dell’intestino e che possono aiutare le funzioni del
sistema immunitario, la prevenzione delle infezioni da altri batteri, come
l’Escherichia coli. Durante la digestione dei carboidrati e delle fibre
alimentari producono sostanze chiamate acidi grassi a catena corta, che
svolgono un ruolo importante nella salute intestinale, nel metabolismo e nel
controllo della fame. Un ridotto numero di bifidobatteri può influenzare
l'assunzione di cibo, il dispendio energetico e il metabolismo del glucosio,
risultando uno dei fattori coinvolti nell'obesità e nel rischio
cardiovascolare. Studi precedenti nell’animale hanno suggerito che l'integrazione
probiotica con Bifidobatteri potrebbe aiutare a ripristinare la composizione e
la funzione del microbiota intestinale, con un ruolo sulla perdita di peso
suggerendo ciò come un potenziale approccio di supporto per la gestione
dell'obesità».
I
risultati dello studio targato UPO suggeriscono che l’integrazione con questi
probiotici potrebbe modificare l’ambiente microbico intestinale e influenzare
positivamente il metabolismo glicidico.
Inoltre,
la risposta ai probiotici è stata influenzata dalla “firma funzionale” della
composizione del microbiota dei giovani pazienti analizzati, determinandone il
miglioramento della sensibilità all’insulina, della circonferenza vita, del
peso o della pressione. «Attualmente – continua la professoressa Prodam
– i
probiotici sono spesso somministrati a persone senza dati di evidenza adeguati.
Questi risultati iniziano a dare prova dell’efficacia e della sicurezza di due
ceppi probiotici nel trattamento dell'obesità in una popolazione più giovane e
iniziano a suggerire una nutrizione e una integrazione di precisione».
Il
secondo studio, coordinato da Nicoletta Filigheddu, professore associato di
Scienze tecniche mediche applicate, si focalizza sulla tematica aging. La
perdita di massa e forza muscolare associata all’età è definita sarcopenia,
sindrome che porta a un deterioramento delle condizioni di vita dell’anziano
essendo associata a scarso equilibro, aumentato rischio di cadute e fratture,
problemi motori e perdita di indipendenza. Secondo lo studio presentato a e-ECE
2020, l’ormone ghrelina potrebbe proteggere la popolazione anziana dalla
perdita muscolare. Lo studio mostra come la somministrazione di una particolare
forma dell’ormone in topi anziani aumenti la massa e la funzionalità muscolare,
rappresentando una possibile nuova strategia di trattamento per patologie
associate a perdita di massa muscolare.
«Ghrelina
– spiega la professoressa Filigheddu – è un ormone circolante sia in forma acilata
(AG) sia non acilata (UnAG). AG è coinvolto nella regolazione metabolica e il
bilanciamento energetico attraverso la stimolazione dell’appetito e induzione
di adiposità, mentre UnAG non ha tali effetti metabolici, pur condividendo con
AG effetti protettivi nei confronti del muscolo mediati da un recettore
sconosciuto. La riduzione dei livelli di ghrelina che si osserva durante
l’invecchiamento potrebbe implicare un ruolo della carenza di questo ormone
nello sviluppo della sarcopenia».
Il gruppo
di ricercatori del DIMET ha studiato in particolare gli effetti di UnAG
sull’invecchiamento
e ha osservato come il trattamento di topi anziani con questo ormone determini
il miglioramento della massa e funzionalità muscolare, senza nessuna modifica
dell’appetito, peso corporeo e tessuto adiposo, suggerendo quindi come UnAG o
suoi analoghi possano rappresentare dei possibili trattamenti terapeutici
futuri per la sarcopenia. La ricerca, finanziata dalla Fondazione Cariplo e
organica al progetto di eccellenza sull’invecchiamento del DIMET, è stata
svolta in stretta collaborazione coi ricercatori del DISS UPO (Flavia Prodam),
delle Università di Torino, Pavia, Roma “La Sapienza” e Pisa ed è stata
recentemente pubblicata sulla rivista Aging.
Redazione
di Vercelli